E se la recente epoca delle grandi dimissioni avesse origini molto diverse rispetto al periodo della pandemia?
Per rispondere a questa domanda è fondamentale osservare da vicino il fenomeno della “Great Resignation”. [1] Era maggio 2021 quando il professore di management della University College London (UCL) Anthony Klotz coniò questo termine per descrivere un imminente cambiamento nel mercato del lavoro. Infatti, durante l’estate negli Stati Uniti si cominciò a registrare un numero di dimissioni mai visto prima, soprattutto tra i lavoratori tra i 30 e i 45 anni.
Il fenomeno è arrivato presto anche in Europa e in Italia, dove, secondo un articolo de Il Sole 24 Ore, soprattutto i giovani tra i 26 e i 35 anni hanno deciso di dare una svolta alla propria vita cambiando lavoro o lasciando il proprio impiego senza avere un piano B.
Le cause di questo fenomeno arrivano molto prima della pandemia, gli ultimi due anni hanno semplicemente permesso alle persone di osservare la propria vita da un’altra prospettiva e hanno dato modo a tutti di definire o cambiare le proprie priorità concretamente.
Infatti, la vita frenetica, il lavoro alienante e la “Hustle Culture”, ovvero l’approccio lavorativo che tende a portare la persona alla frustrazione e all’estrema competizione verse sé stessa, ha iniziato a “star stretta” a molti, a favore invece di una vita lavorativa equilibrata, in cui il proprio benessere e la salute mentale ricoprono un posto in prima fila. Sostanzialmente, molti lavoratori hanno detto addio all’idea secondo la quale più siamo impegnati al lavoro e meno ci rilassiamo, più abbiamo valore.
Da queste riflessioni è quindi possibile definire gli elementi che compongono la nuova dimensione lavorativa che si sta delineando a livello globale:
- Le alternative: ognuno di noi ha cominciato, chi più e chi meno, a valutare tutte le possibili strade da percorrere per mettere al centro il proprio benessere e i propri obiettivi personali
- L’autenticità: sono emerse le proprie aspirazioni e tutti gli elementi distintivi di ogni persona che, lentamente, si fanno spazio anche nel proprio lavoro e non solo nella vita personale
- La dicotomia lavoro e casa: in passato erano percepiti come due luoghi distanti e talvolta opposti, oggi invece sono due ambienti che collaborano per la realizzazione personale di ogni lavoratore.
- Un ozio sostenibile: gli ultimi due anni ci hanno fatto comprendere che avere tempo per rilassarsi, ricaricare le proprie energie per stare meglio, lavorare meglio, collaborare meglio è indispensabile per una vita sostenibile.
Su questo ultimo punto possiamo focalizzarci maggiormente approfondendo una perla del passato. Infatti, già nel 1935 il filosofo ed economico Bertrand Russel scriveva nel suo saggio “Elogio dell’ozio” alcune riflessioni applicabili ai nostri tempi. Nel dettaglio, con quest’opera egli sottolinea il fatto che nella vita di ogni persona è fondamentale sottrarsi ai ritmi incessanti di lavoro per dedicarsi ad attività leggere in ambito culturale e sociale o di studio per accrescere il sapere personale.
Quindi, cosa è possibile fare nel concreto per diminuire la percentuale di licenziamenti nel presente in favore di un futuro prospero?
- Fidelizzare i collaboratori, non solo gli ospiti e/o clienti: un passo cruciale consiste nel curare i dettagli dell’esperienza dei propri collaboratori in azienda e definire un piano strategico di recupero nel caso in cui i livelli di soddisfazione tendano a calare nel tempo o in specifiche situazioni
- Interessarsi alla vita privata di chi lavora nel team: una semplice domanda “Come stai?” non sempre è sufficiente, è importante creare un ambiente in cui ogni persona si possa sentire libera di raccontare i propri hobby, le passioni e le dinamiche che fanno parte della vita al di fuori del lavoro
- Organizzare sessioni di condivisione dei propri bisogni personali: ogni persona deve sentirsi libera di esprimere i propri bisogni personali ed eventualmente quelli della propria famiglia. L’ambiente di lavoro deve supportare anche la vita personale dei collaboratori
- Accrescere il livello di flessibilità aziendale: essere flessibili significa avere una visione dinamica dell’organizzazione generale. Per esempio, ai team vanno forniti strumenti concreti per organizzare il proprio tempo e le attività in modo autonomo, coordinato e adattabile a cambiamenti di programma.
Abbiamo la possibilità di imparare da questo momento storico, conoscere le radici dei recenti cambiamenti nel mondo dell’ospitalità e nel mondo del lavoro in generale e abbiamo l’opportunità davanti ai nostri occhi di poter dar forma a nuove prospettive lavorative e di generare strutture organizzative diverse, migliori.
[1] Traduzione italiana: grandi dimissioni
Martina Dalla Vedova
Marketing Manager
Hospite – The Italian Hospitality Academy